Il linguaggio dell’I Ching

(da Eranos I Ching: il libro della versatilità, Red Edizioni, Como, 1996, Introduzione)

Il cinese è una lingua ideografica. La sua struttura è molto diversa da quella delle lingue occidentali. Le parole sono segni (ideogrammi) e questi segni sono immagini. Ed è una lingua molto ricca: si ritiene che già nel 1400 a.C. disponesse di 5000 ideogrammi e il dizionario dell’imperatore Kang Xi del 1716 ne contiene 49.000. Ci sono spesso molti diversi ideogrammi che possono essere usati per esprimere varianti di una stessa idea, il che permette di comunicare sfumature di significato molto sottili.

L’ideogramma cinese è inoltre caratterizzato da una polivalenza di significato per certi versi affine a quella delle immagini del sogno o della poesia. Spesso esso indica indifferentemente un’azione, una cosa o una qualità: può essere letto come verbo, sostantivo o aggettivo. Inoltre possiede una sorta di iridescenza, per cui un ideogramma non ha un unico significato, ma tutta una gamma di significati che scivolano l’uno nell’altro per associazione. Per esempio, l’ideogramma dui, che significa ‘apertura’, significa anche aprire e aperto. Non solo, ma significa anche bocca, parlare, comunicare. E anche scambio. E quindi anche barattare, acquistare, vendere. E, poiché il mercato è tradizionalmente un luogo di riunione, significa anche riunione, persone riunite. E anche luogo dove le acque si riuniscono, perciò specchio d’acqua, stagno, lago. E così via. In un unico segno tutti questi significati, tutte queste immagini, sono costellati insieme, risuonano simultaneamente e costituiscono una sorta di aura della parola.

In altri testi classici della letteratura cinese questa polivalenza di significato è limitata e resa più precisa dall’uso di particelle che indicano per esempio il plurale di un sostantivo o il tempo di un verbo. Ma nell’I Ching la natura fluida del linguaggio ideografico è presente al massimo grado. Esso non è un testo documentario e differisce in questo senso da tutti gli altri classici – una peculiarità che è stata sottolineata dal filosofo del sedicesimo secolo Lai Zhi-de (Lai Chih-te). A differenza degli altri classici, dice Lai, i testi dell’I Ching non si riferiscono a eventi e cose concrete. Questi testi hanno un valore allusivo ed emotivo. E la loro natura aperta è specificamente legata al loro intento divinatorio. Essi acquistano un significato univoco solo in rapporto alla situazione particolare di ciascun interrogante. Se ciascuno di essi avesse un unico significato, “come potrebbe il Libro dello yi,” dice Lai, “contenere la totalità di cielo e terra?”

Il linguaggio dell’I Ching è dunque un linguaggio immaginale. Non si può, se non riducendolo, racchiuderlo nelle forme grammaticali di una lingua occidentale. Una delle intenzioni principali dell’Eranos I Ching è quella di permettere al lettore italiano di accedere il più possibile alla ricchezza di immagini contenuta nell’originale cinese.

Continua: uno specchio del presente